lunedì 4 ottobre 2010

discendenze

“se il padre non fosse morto, le avrebbe insegnato che il desiderio non è una strada che porta alla conoscenza, che l'amore non è mai ideale, che lo struggimento non è mai speranza?”   "Il regno fiorito" Fae Myenne Ng
questa frase mi ha colpito come una brutta notizia, quelle maledette brutte notizie che non si mostrano mai a poco a poco, che colpiscono all’ora di pranzo, dopo il caffè, quando il mondo ti sembra amico e non lo è, e non di notte quando te lo aspetteresti.
eppure sono passati vent’anni dalla morte di mio papà, da quella domenica a pranzo quando vennero a dirmi che era caduto in mezzo alla strada e non si era più rialzato.

mio papà è Parigi, noi due soli al Grand Hotel, tra l’Opera e la Place Vendome, la Barbie fotomodella che viene dagli Stati Uniti, le sigarette nel cassetto, il portafoglio bordeaux nella tasca interna della giacca, uno schiaffone al posto di mio fratello quando facevamo casino in macchina, eau de Givency, erre che rotola quando dice “cretino”, la sua macchina che aspetta sommersa da una banda di adolescenti assonnati alle tre di notte all’uscita dell’autodromo dopo il concerto dei Pink Floyd a Monza, i finferli e i porcini, il barbecue in cemento costruito in mezzo al prato e detto il Partenone, l’amaca che si rompe con lui dentro, il suo sguardo perplesso quando si sente dire che un tampax è un ciondolo africano, l’impazienza nelle visite ai Castelli della Loira, la smorfia mentre lava il vetro della macchina all’Autogrill, mio papà è giovane, forte, va in montagna, gioca a tennis (vorrebbe giocare anche a golf ma alla fine gli piaceva più rubare le palline che altro), mio papà mi prende sulle ginocchia dopopranzo, legge il cappotto di astrakan e guarda Bud Spencer e Terence Hill, quando non è vestito da ufficio mette i jeans con il risvolto che fanno inorridire la mamma, cucina il capitone a Natale ma quello gli scivola ovunque, mi dice che a tredici anni mi devo comprare le scarpe da donna.


mio nonno, il papà di mio papà, era avvocato e gentiluomo di spada e cappa di un Cardinale, membro laico, cioè della Famiglia pontificia, aveva terrificanti sopracciglia bianche e le gelatine alla frutta per i nipoti nel mobile di legno nero dello studio, beveva una spremuta di limone ogni santa mattina.
mio nonno è leggenda di famiglia, è odore polveroso del corridio lungo della casa di Roma, è radice e albero, è il capostipite, è la severità e l’ordine, la dolcezza nascosta e negata, le regole, la religione, l’anello di famiglia regalato a mia mamma, il nome che porta mio fratello.


mio marito è il mio cuore, la mia carne e il mio respiro e attraverso di me, mio nonno e mio papà si riaffacciano in lui, l’unico uomo a cui ho permesso di avvicinarsi davvero, l’unico in cui ho ritrovato quella stessa rettitudine demente che in nome dell’onore ti fa perdere il senso della realtà, regole e limiti a fare da sponda a emozioni che fanno paura, maschio e uomo di casa fino all’eccesso.
è la tremarella per un matrimonio che è arrivato troppo presto e che gli fa perdere l’ora del mio arrivo all’aeroporto, è il bisogno di piacere e di far stare bene, è felicità per la felicità di sua mamma il giorno del mio compleanno, è stomaco annodato, sigarette e caffè come uniche consolazioni al digiuno e alle preoccupazioni, è lentezza e riflessione, è determinazione, è la sveglia all’alba per portarmi a vedere i pellicani, è una voce nel telefono che mi dice respira, è la mano che mi guida per la strada, è il sorriso trattenuto e poi lasciato andare nel video ogni sera.

sono gli uomini della linea che porta fino a me.
mio padre è morto e non mi ha potuto insegnare che il desiderio non porta alla conoscenza perchè per tutta la vita ha inseguito un desiderio, anche mio nonno era rimasto orfano molto presto, figlio non più voluto ha dovuto arrangiarsi e rinunciare alla tenerezza per il successo, e mio marito ha catene antiche che lo tengono lontano, che gli impediscono di parlare, di condividere, di passare un po’ il peso.

gli uomini della mia linea sono uomini soli e la solitudine, come una malattia, si trasmette.
sono uomini che avanzano decisi, nutrendosi del benessere altrui, plasmando il mondo a loro volere e al volere che, nel loro cuore, hanno stabilito essere il meglio per i loro fratelli, per le loro donne, per i loro figli: percorrono il mondo a grandi passi, preparando porti sicuri, grotte colme di scorte di cibo e profumi e stoffe calde in cui si potrà trovare tutto ciò che si desidera, in cui nulla di male potrà mai accadere.
vicino a loro sai sempre che le tue spalle saranno coperte.
ed è dolce, molto dolce.
entri nella grotta e tutte le possibilità ti stordiscono, ti siedi per non cadere e guardi quelle montagne di ricchezze e ori, desideri realizzati senza nemmeno domandare.

papà viaggiava molto, per lavoro, così tanto che mi è mancata più la voce nel telefono che la sua presenza: da ogni viaggio mi portava un regalo, una foto, una bottiglietta di shampoo dell’albergo e poi ripartiva per hong kong, san francisco parigi stoccolma dusseldorf pechino
prendi la strada che va a pechino e gira a destra dopo torino incontrerai molte grandi città la dodicesima è Felicittà – diceva richard scarry nel libro e io immaginavo papà che zaino in spalla girava a destra e trovava la strada.

sono uomini speciali, gli uomini della mia linea, nessun dubbio, ma bisogna stare attenti, perchè ferirli è la cosa più facile del mondo, basta dire, amore oggi no, la cioccolata no, oggi vorrei essere io a prepararti la sedia in giardino sotto l’albero di limoni, portarti la musica e un caffè degli altipiani del kilimangiaro, e preoccuparmi che nessuno ti disturbi per tutto il giorno.
ecco, è come se avessi detto che la cioccolata ti fa orrore, che tutta la grotta ti fa orrore! che tutto quel cibo, quelle richezze, quelle montagne di desideri sognati ti fanno orrore perchè (naturalmente!) chi li ha preparati ti fa orrore.

papà criticava tutto e tutti, ma era impossibile intromettersi senza rischiare di farlo sentire in difetto, sminuito, terribilmente ingrata e incosciente di tutto quello che avevi avuto – il nonno era famoso per le urla che arrivavano fino al cielo - anche mio marito è così, il mio amico sigumund freud se la sta ridendo ben bene sotto i baffi, ora!

e così tu devi stare nella grotta, grata e felice, ad aspettare che il tuo uomo arrivi, il tuo uomo che è là fuori e tu lo sai stanco e infreddolito, ma anche forte e potente più di chiunque altro, impegnato a controllare che non ci siano leoni, che dentro la grotta ci sia ancora più cibo e ancora più musica e ancora più dolci, che tu sia comoda.
e tu ci stai, nella grotta, grata e felice perchè non cambieresti quell’uomo e le sue mani che creano meraviglie per niente la mondo – ma se qualche volta lui entrasse nella grotta con te e ti portasse fuori a caccia di leoni con sé (ricordandosi che quando ti conobbe tu avevi un martello in mano, dopotutto!), quella grotta sarebbe davvero splendida e forse lui non sarebbe sempre così stanco e il mondo sarebbe davvero davvero davvero piùcheperfetto.



1 commento:

lapat ha detto...

sei fantastica e mi commuovi