sabato 31 luglio 2010

vicini di casa


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pochi giorni fa la mia coinquilina, che è architetto, mi spiegava le norme che da qualche anno a questa parte regolano la termoacustica a far sì che nella costruzione di nuovi appartamenti ci sia un isolamento termico (per il risparmio energetico) e acustico (per evitare rumori molesti) che per molto tempo è stato ignorato.
discutevamo su come sia importante essere isolati, acusticamente, dai propri vicini, per poter vivere serenamente e in pace la vita di condominio o comunque di vicinato.
discutevamo di liti con vicini troppo entusiasti durante le partite o troppo focosi con i propri partner sessuali tanto da meritare telefonate difficili da parte di chi viene svegliato in piena notte ogni notte, di amministratori coinvolti a mediare tra chi ascolta rap e chi si esercita nel canto lirico, di lavatrici che spaventano vecchiette malate, di vigili chiamati a controllare insesistenti pericoli da parte di vicini litigiosi e desiderosi di infastidire, di cani avvelenati attraverso i balconi per non sentirne i continui lamenti, di piante potate per dispetto, della pazienza di sopportare chi fa lavori di ristrutturazione rumorosi e del camion per la raccolta differenziata del vetro che passa alle sei del sabato mattina.
ho due amiche che a lungo hanno studiato e poi praticato la mediazione del conflitto con il progetto G-Riot e una delle aree di applicazione era proprio il rapporto di vicinato e la vita di condominio: mi stupiva sentire quanto fosse importante impegnarsi a guardare al vicino come a una persona competente a cui accostarsi in maniera più empatica possibile, al fine di riuscire a sopportarne i rumori così come lui avrebbe potuto sopportare i nostri.
qui da noi.

pochi giorni fa una vicina di casa di B, probabilmente invidiosa, gli ha fatto uno sgarbo che gli costerà parecchi soldi e gli sta già costando energie e soprattutto rabbia, frustrazione e delusione.
un vicino di casa, in Senegal e a maggior ragione in una città piccola e tranquilla come Saint-Louis, è parte della vita quotidiana e si tratta il vicino quasi meglio di quanto si tratterebbe un parente, sapendo che lui avrà per te lo stesso riguardo.
un gesto cattivo da parte di un vicino fa male.
in Senegal, quando un vicino si comporta con cattiveria, non ti fa arrabbiare, ti fa male.
B non è così naïf da pensare che tutti attorno a sé siano mossi sempre da buoni sentimenti, ma mi spiegava, sinceramente colpito, che dalla presidenza Wade molte cose sono cambiate in termini di polizia e controllo, e che questo sta intaccando la cultura senegalese di buon vicinato.
qualunque senegalese sa che nessuna casa è abbastanza grande da ospitare tutti gli invitati a una festa di matrimonio o a un battesimo o a un funerale: perchè una celebrazione sia degna di essere chiamata tale bisogna che tutti possano parteciparvi, compresi quelli che vengono da fuori città.
e allora si usa la strada, si ferma il traffico, magari anche due o tre giorni prima della festa quel pezzo di strada è ad uso di chi festeggia, si mettono due tendoni per il sole, decine e decine di sedie di plastica sotto, e il gran giorno la musica, le risate e il profumo del cibo si sentiranno per molti isolati di distanza.
per consuetudine si va dai vicini, gli si dice che quel giorno si farà una festa, implicitamente sono invitati anche loro, e si chiede, tacitamente di portare pazienza perchè magari un giorno succederà anche a loro di aver bisogno della strada per fare una festa.
nessun permesso ufficiale è dovuto, basta l’accordo dei vicini.
lì in Senegal.

in un simile sistema di regole, che racchiude le feste così come mille altri aspetti della quotidianità (dai parcheggi, alle piccole o grandi attività commerciali, ai lavori di ristrutturazione e così via), se qualcuno rema contro fa saltare tutto.
e così basta una vicina che si lamenta per il rumore di una nuova finestra aperta su strada, che non le permette di riposare, che chiama la polizia aggrappandosi alle nuove regole della burocrazia di Wade e al nuovo potere dato alla Pubblica Sicurezza a far saltare un sistema culturale basato sul rispetto e la reciproca comprensione, che non avrebbe avuto bisogno né di polizia né di assistenti sociali, ma semplicemente di due parole dette con gentilezza.

per me la vita in Senegal è molto faticosa, spesso mi manca il silenzio, mi sento invasa dalla vita degli altri che fluisce accanto alla mia senza alcun limite fisico, ma per chi ci è cresciuto è vitale: le nuove regole stanno trasformando il Senegal in un paese meno anarchico, forse (alla lunga) anche più efficiente, ma il prezzo è alto se saltano le convenzioni sociali che fino ad oggi hannno tenuto saldo il tessuto e fatto vivere in pace schiere di vicini di casa.
per me la vita in Senegal è faticosa, ma non auguro a un senegalese di vedersi un giorno trasformato nelle monadi isolate che siamo noi, incapaci di parlarci se non attraverso la burocrazia.
chissà se Mr.President e i fautori dell’occidentalizzazione a tutti i costi ci hanno pensato.

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