Jason Burt R. è un razzista.
Un razzista vero.
Sembra un po' il personaggio di un film.
Ma non c'è da spaventarsi, è anche una persona beneducata e composta.
Jason è un ragazzo di 27 anni che è venuto a Milano per qualche giorno in occasione di un convegno di microbiologia.
E' ricercatore all'Università di Stellenbosh, in Sudafrica.
E' sudafricano, ha l'aria simpatica, barba, sandali e zaino sulle spalle; bianco, friendly, non troppo alto, un bel sorriso.
Lui e Robin, sua collega di dipartimento (con la quale mi è sembrato di capire non ci fosse una particolare amicizia) sono arrivati a casa mia una sera, si sono sistemati nelle camere e sono subito usciti a cena.
Lui ho visti poco, fino al sabato a colazione, quando c'è stata occasione di fare due chiacchiere senza dover scappare al lavoro.
Che lavoro fai, da da quale città vieni, cosa ti interessa visitare a Milano, i soliti discorsi con i miei ospiti.
Robin vede alcune fotografie sul muro di cucina, una scattata a Dakar, e mi chiede se ho viaggiato molto.
Le spiego che è una fotografia fatta in Senegal.
E pur non richiesta, le racconto che ho con il Senegal un rapporto particolare, che ci sono stata spesso e che il papà di Momo è senegalese.
Lei sorride, mi racconta di un suo viaggio in Namibia e di una vacanza in Marocco.
Vacanze piacevoli, mi pare di capire.
Mi fa i complimenti per le foto.
Lui sta zitto, non commenta, continua la sua colazione.
Ognuno prosegue la giornata per conto suo e non li rivedo.
Stamattina usciamo che loro ancora dormono.
Stasera al rientro, trovo Jason in cucina, mi sta scrivendo un biglietto non pensando di vederci prima della sua partenza, appunto, stasera.
Mi dice non importa, te lo dico a voce, sono stato bene e ti ringrazio per la tua ospitalità, ma non posso sopportare l'idea di aver dormito nella casa di una persona che è stata sposata con un nero, non tornerò e non consiglierò ai miei amici di venire da te. Volevo che lo sapessi.
Sorrideva.
Non ho detto nulla.
Mezz'ora dopo ha preso la sua valigia e ci siamo salutati.
Mi scoccia soprattutto aver fatto dei muffins così buoni per la sua colazione, proprio non se li meritava.
1 commento:
Accidenti che reazione. L'apartheid è stata ed è una realtà di fatto. Conosco anche qui da noi persone educate e gentili che rifiutano ogni contatto con gli africani. Questa è l'apartheid: non mischiarsi. Non è necessario fare grandi dichiarazioni o proclami, non sono necessarie giustificazioni.
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