lunedì 3 ottobre 2016

lavorare sui confini

A partire da quest'anno, il 3 ottobre è stata dichiarata Giornata della Memoria delle vittime Migranti.

In memoria dei morti del 3 ottobre 2013, 366 persone annegate al largo dell'isola di Lampedusa.
In memoria delle 27.382 (ventisettemila trecento ottandadue) persone che dal 1998 hanno perso la vita nel Mare Mediterraneo.

Decisamente il nostro mondo ha un problema di confini.
E' comprensibile, ce l'ho anche io.
Spesso, se mi chiedono aiuto, fatico a dire di no.
Se mi chiedono di partecipare a un progetto.
Se mi sembra che attivarsi possa portare dei benefici alla comunità.
Se qualcuno, in qualunque maniera, dimostra di aver bisogno di me.
Io non dico mai di no.
Anche se questo toglie spazio a me.
Toglie spazio ai miei desideri, alle mie necessità, alle mie priorità.

Il mondo, al contrario, ha scelto di dire no, sempre e soltanto no.

Non crediate, non c'è molta differenza.
In entrambi i casi si sbaglia: una mancanza di difese è dannosa, per sè stessi, quanto un eccesso di difese.
In entrambi i casi c'è un problema di confini.

E infatti nessuno sta guadagnando da questo schizofrenico agire che vede una parte, troppo consistente, della società occidentale, che desidera muri, e una parte, minoritaria, che mette continuamente dita nella diga, ma non ha alcuno strumento per agire alla radice e fermare il flusso.

Nel 1998, quando ho cominciato a occuparmi di immigrazione, vedevamo l'assistenzialismo come la bestia più feroce, quella che toglieva dignità, che disumanizzava, che creava differenze e classi e non aiutava a trovare soluzioni. Per questo ho lavorato tanti anni alla costruzione di sportelli che dessero informazioni professionali e precise, con volontari formati e adeguati; non volevamo sostituirci a nessuno, solo rispondere al bisogno di indicazioni che le persone, nel loro viaggio, portavano - le aiutavamo ad orientarsi, a fare da sole.
E di pari passo facevamo lobbing e opinione, perchè volevamo leggi diverse, più umane, più aperte, che spazzassero via il ricatto del lavoro, la concorrenza tra migranti e italiani, la mafia dei cantieri, delle strade, dello spaccio.
Avevamo le idee chiare.

Avevamo dei confini, confini equilibrati: io ho una informazione che ti serve, te la dò, ti aiuto, ma non mi sostituisco a te, non divento te. E appena ti sarai orientato sarai a fianco a me, in una società che cresce.

Oggi, quegli sportelli, quei progetti, non esistono più.
Oggi si raccolgono vestiti, si raccolgono libri.
E io partecipo, perchè non posso fare altro.
Non c'è molto altro.
E non trovo più il confine e quindi nemmeno il senso.

D'altro canto, trovo molti muri, fisici, esterni, spinati e terribili, che cercano goffamente di impedire un passaggio che avviene comunque, in una selezione schifosa tra chi ce la fa e chi muore nel tentativo.
E muri interiori fortissimi, bambini rifiutati a scuola, bambini neri insultati dai compagni, adulti neri picchiati - o uccisi - per motivi banali, perchè la loro pelle fa rabbia, lavoratori sfiniti e ricattati, famiglie divise, barriere fortissime alla regolarizzazione (con enormi guadagni per mafie grandi e per piccoli sfruttatori), barriere che nascono dentro i quartieri, nei condomini, piccole meschine guerre contro il suono di una preghiera estranea, un odore di cibo sconosciuto, una vestito che copre.
Prima noi, dicono in tanti.
Prima a noi il lavoro, prima a noi il posto a scuola.
Prima a noi l'IPhone che tu, negro di merda venuto su una barca non devi poterti permettere se io non posso, nemmeno se è il tuo unico contatto con il mondo che conosci, con la famiglia dispersa chissà dove, chissenefrega! Prima noi!

Ecco, nemmeno qui ci sono confini.

Se non metto un argine alle dita nella diga, e non metto lo stesso argine all'odio, posso elevare tutti i muri più alti, ma dentro di me, nel profondo, avrò sempre un problema di confini. Se non so chi sono io e continuo a rovesciare questo problema sull'altro, aprendogli le braccia in maniera sbagliata o respingendolo in maniera sbagliata, nulla cambierà.
E le persone continueranno a morire.
O ad essere trattate come un problema da risolvere, non come persone cui camminare a fianco.

Non sappiamo respingerle, non sappiamo salvarle.
Questa bestia ci sta mangiando il cuore, e non viene dall'Africa nè dall'Asia, ne dall'America Latina.

Abbiamo un problema di confini.
Potrebbe essere un'idea, lavorare tutti insieme su questo.


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