guardo le donne di francesca woodman e penso a quanto ho dovuto osservarle, a distanza di tempo prima di indentificarmici di riconoscere a me stessa identica qualità femminile la stessa fragilità la stessa forza la stessa umanità dolce e aspra spigolosa appiccicosa umida decisa.
non sono più stata donna da quando ho perso il mio lavoro a quando poco fa ho ricominciato a ricostruirlo su altri presupposti: ho dovuto cercare dentro di me una nuova identità capace di chiamare lavoro il lavoro e corpo il corpo e cuore il cuore (missione la missione) cercare una nuova identità di donna e oggi attraverso il mio corpo che ritrova energie e pulsioni vedo i lenti cambiamenti del mio cuore.
dal giorno in cui sono entrata in quello scantinato umido sotto al circolo arci dietro casa dei miei genitori seguendo un amico che aveva capito che avevo bisogno di darmi da fare per me attraverso l'impegno politico sui temi dell'immigrazione, attraverso nuovi gruppi, nuovi progetti, ostacoli superati e qualche battaglia vinta, fino al giorno di maggio di undici anni dopo in cui la mia energia non è stata più utile a nessuno.
è passato un anno, mi sono nascosta sotto una vecchia tappezzeria scollata, sotto la mia stessa pelle, dietro un sorriso, dietro furori incontrollati.
il mio lavoro era un nido caldo, mi era venuto facile da subito, appassionarmii, studiare, la legge, le circolari, le implicazioni, gli escamotage utili a far avere un permesso di soggiorno a più persone possibili, trattare con avvocati e funzionari di polizia con sicurezza, un luogo sicuro in cui sapevo di far bene.
un gruppo di persone intelligenti e appassionate mi hanno insegnato molto e undici anni dopo, mi hanno detto che non servivo più.
succede.
in ogni lavoro e per le ragioni più diverse e irrilevanti.
ma io, ottusamente forse per troppa paura di guardare cosa poteva esserci al di là, per arroganza o per semplice ingenuità, non avevo mai realizzato che sarebbe potuto succedere a me, che avevo un lavoro così speciale.
nessuna tutela, nessun piano B.
il mio corpo, prima ancora della mia ragione e del mio cuore, ha capito che avevo perso una parte di me troppo grossa, abnorme, esageratamente importante, una specie di formazione tumorale che sotto shock mi è stata brutalmente asportata da un giorno all'altro: ho smesso di guardarmi allo specchio se non per necessità, per non uscire con uno strappo nei pantaloni o una macchia sulla maglietta.
i capelli sono diventati di paglia, le gambe si sono fatte molli.
sono ingrassata, ciccia da matrona che mi diceva che dovevo rassegnarmi ai quarant'anni, cosa volevo fare ancora la pasionaria sulle barricate
le donne di francesca woodman mi colpivano come pugni nello stomaco loro così consapevoli del loro corpo e fiere di mostrarlo senza ipocrisia senza paura senza pensarci esattamente com'è mi sembravano volgari eccessive loro che di volgare non hanno nulla
si è aggiunta la distanza con il mio compagno il sesso che ho dovuto dimenticare di avere, desiderio che ho dovuto reprimere per non sentire troppo la nostalgia per non farmi ossessionare dalla mancanza
il mio corpo un guscio duro un involucro un sacchetto di ossa nulla che valesse la pena guardare curare coccolare nutrire adeguatamente ogni saggio sulla terra mi avrebbe sgridata
ogni saggio sulla terra avrebbe detto che ogni volta che ridefiniamo la nostra identità molto cambia e adattarsi al cambiamento è la cosa più saggia che si possa fare se si è abbastanza saggi da saperlo.
io non lo sono, il mio corpo lo è e si ridefinisce e si piace a si guarda con occhi nuovi, avendo capito che una strada è stata presa e una nuova identità sta piano piano comparendo sul foglio fotografico, un lavoro che è solo un lavoro ma è anche la dolcezza di non buttare via tanti anni di esperienza e la sicurezza di sapere che sono ancora (molto) utile a molti, aprendo nuove porte a una nuova qualità femminile tutta mia.
1 commento:
a volte rimango incantata dalla tua capacità a descrivere emozioni, sentimenti. Brava Cristina, scrivi proprio bene, è bello leggerti
Beba
Posta un commento