lunedì 13 settembre 2010

dakar, piccola guida per toubab in cerca di quiete

La parola toubab deriva dall'arabo tubib che significa medico
o forse deriva da tub che significa convertire
i primi europei arrivati in senegal erano medici o erano religiosi.
io ci sono arrivata da turista.
qualche giorno fa alla radio all'ora di pranzo si parlava di senso del turista: la domanda era "cosa fai quando sei in viaggio, per sentirti più integrato nel posto in cui sei? mangi piatti del luogo, vai al cinema, vai a ballare...?".
uhhmm...io decisamente non faccio nulla.
Perchè la condizione di turista, se turista sono, mi piace molto: amo il senso di non responsabilità rispetto al luogo, amo sentirmi diversa, esotica, essere guardata e guardare l'altro in maniera esotica, con curiosità e anche in quanto "altro" rispetto a me.
C'è sempre tempo a casa per porsi il problema di risultare più o meno integrata.

Altra cosa è se in un luogo ci devo vivere, se comincio a coltivare degli affetti, se ci lavoro, se ho necessità di ricavare uno spazio per me in un posto nuovo che non è ancora "casa" ma che lo potrebbe diventare.

Sono stata in Senegal più o meno una decina di volte negli ultimi sette anni, più che altro a Dakar, coltivando la fantasia di poter fare in modo che la vita mi permettesse di viverci e lavorarci: è ancora una fantasia, ma ci sono alcuni posti che per me sono la Dakar che mi appartiene e in cui mi sento parte del luogo.
Ma più che altro 'c'è un'azione che mi ha fatto capire che mi sentivo a mio agio: andare in giro da sola.
Niente amici che guidano, conoscono, ti portano, contrattano il taxi, suggeriscono il baretto, propongono il negozio, traducono il prezzo, spiegano la strada, niente indicazioni.
Solo io e la mia capacità di muovermi in quello spazio.
Fin da quando ero ragazzina, essere capace di girare da sola mi ha dato la misura del grado di libertà che avevo conquistata.
E libertà è misura dell'agio.

Il parco di Hann, nel quartiere di Maristes, costa sud della penisola di Cap Vert, è un giardino zoologico.
Non ho visto nemmeno un animale feroce e spaventoso e neppure animali domestici, nessun animale; il senso di pace e silenzio appena varcati i cancelli ne fanno una cattedrale dentro il caos della città e forse l'attrazione zoologica ero io, unico essere umano in quell'oasi: è piuttosto grande, si cammina per una buona oretta piano piano, guardando gli alberi e sperando di veder comparire una scimmia, guardando le piante, i fiori, uno stagno. Non c'è assolutamente nessuno, fa caldo, l'aria di agosto è umida e il bosco è profumato di bosco.


All'opposto, trovo pace e senso quando vado in giro a Mèdina, quartiere centrale di Dakar, il più vecchio e uno dei più popolari: la vita si svolge dentro e fuori casa indifferentemente, c'è una gran folla, un gran vociare, è a pianta quadrata e nelle vie perpendicolari il traffico è intenso e i marciapiedi un'illusione.
Nelle traverse passa qualche car rapide, qualche macchina, ma si cammina anche in mezzo alla strada soprattutto se piove e i canali di scolo diventano pozzanghere vedognole: capre, bambini, banchetti di frutta, case a un piano soltanto dai muri squadrati, e botteghe artigiane la cui attività si svolge tutta all'esterno, dalla battitura del ferro alla falegnameria all'arte di scultori, videomakers, fumettisti, pittori, illustratori, stilisti e sarti più o meno noti.
Con il tempo è diventato un quartiere in cui la gente ama abitare e in cui gli artisti trovano ispirazione, senza per questo diventare nè più pulito nè più ricco.
C'è troppa gente perchè possano preoccuparsi di una europea in più e questo è confortante: cammino, mi perdo, chiedo indicazioni, mi ritrovo, mi bevo un caffè touba seduta sulla panchetta di legno del venditore o una flag nel bar con i divanetti di appiccicosa plastica rossa, nessuno mi interpella o mi grida toubab, mi siedo sugli scalini piastrellati all'ingresso del Centro di Formazione di Mèdina, ascoltando il ronzio delle macchine da cucire dentro e guardo chi passa, chi si saluta, chi torna da scuola, una dimostrazione di studenti repressa in un lampo da una camionetta di aggressivi poliziotti in mimetica e baschetto rosso, chi dirige il traffico, chi gioca a pallone, i preparativi per una festa di battesimo, diplomazie di vicinato, qualcuno che recupera e recapita a destinazione i figli di qualcun altro.
A Mèdina, se sei un turista, non serve avere qualcosa da fare, basta mettersi comodi e guardare e qualcosa succede sempre.


Sono milanese e da noi l'aperitivo è tutto, quindi ho il posto da aperitivo anche a Dakar anzi ne ho due.
Il Relais "Le Sportif", sulla Corniche Ouest, a fianco dell'orrendo palazzone finto dorico della Cour de Cassation, dopo il mercato del pesce di Soumbedioune: un posto tranquillo, non particolarmente caro nè troppo pretenzioso, un ristorante con tovaglie di plastica, una grande terrazza sul mare davanti all'Ile aux Serpents, pochi tavoli nessuno interferisce, qualcuno gioca a pallone nella spiaggia pochi metri più sotto, si beve una Flag, si guarda l'Oceano e il tramonto e non serve nient'altro.


E la Point des Almadies, proseguendo lungo la strada dopo l'Hotel Meridien President: ci sono due piccoli ristoranti, con terrazza sulla punta più occidentale di tutta l'Africa che rendono l'"aperitivo" un concetto del tutto speciale.




Quando devo incontrare qualcuno di solito è al Centre Culturel Français, ma anche quando ho voglia di chiudere un attimo Dakar fuori e sedermi da sola con il mio diario, un libro, qualche pensiero.
E' un posto snob, niente da dire, molto curato, una vera bolla, sembra che anche l'aria sia un po' più fresca appena attraversi il cancello e un guardiano in divisa ti dice bonjour, il grande baobab al centro del cortile ospita esposizioni fotografiche, il tendone del bar è tranquillo, tutti parlano sicuramente di cose molto serie e molto intellettuali, il rumore del traffico è attutito eppure siamo a due passi dalla rue Ponty e dal Mercato di Sandaga.
Ci vado a volte per colazione, quando il mio metabolismo mattutino non coincide con quello di chi a quell'ora dorme ancora e ci resto fino a che mi va, poi prendo la strada verso la Corniche e quando arrivo all'Oceano mi faccio due passi e mi rimetto in pari con il mondo.


A metà della Corniche Ouest c'è il Cimitero di Soumbedioune, B mi ci ha portato in maggio a vedere la tomba di suo nonno Amadou Assane N, lebu di Sandial, notabile del partito di Senghor.

Fuori dai cancelli la tomba di Blaise Diagne, il primo africano eletto all'Assemblea Nazionale Francese nel 1914 e Sindaco di Dakar.
Subito dentro, il mausoleo di sinistra ospita Lamine Gueye, politico, fondatore nel 1912 del movimento di rivedicazione "Jeunesse Senegalais", sindaco di Saint-Louis, magistrato, promotore della legge che diede la cittadinanza francese agli abitanti delle colonie africane.
Il cimitero occupa l'intero promontorio e si affaccia a picco sul mare, ospita molte tombe importanti e molte tombe comuni nel consueto non-ordine dei cimiteri musulmani dove i corpi sono sepoliti nella terra, rivolti verso la Mecca, gli uni accanto agli altri senza distinzioni: le famiglie più ricche ornano le tombe dei loro cari di lapidi in marmo, recinti piastellati di verde o in ferro battuto a delimitare lo spazio della sepoltura, le altre si limitano a un'asse di legno con il nome del defunto pitturato sopra e a volte qualche legno o pietra intorno, non ci sono immagini, nè statue nè fotografie nè vialetti, ogni spazio è occupato da pietre e legno, le piante crescono liberamente e l'aria salina sbianca e impregna ogni cosa, la sabbia crea avallamenti e gradini, il silenzio è perfetto.

Per un pranzo davvero superbo io prendo  la piroga a Ngor e vado sull'isola, in cinque minuti, tenendo le scarpe in mano e soffocando nell'umido salvagente arancione si arriva alla seconda spiaggia, proprio di fronte al villaggio, dove ci sono numerosi ristorantini con i tavoli e le sedie che affondano ugualmente nella sabbia e gli ombrelloni storti che riparano poco o niente: il migliore è Chez Ibou, il suo firir (thiof alla griglia con sugo di cipolle e senape) e le sue brochette de lotte (spiedini di rana pescatrice) sono indimenticabili e Ibou è un tesoro.


una cosa che mi fa molto ridere: il thiof è un pesce di mare tipico delle coste senegalesi, simile al merluzzo o all'orata, considerato pregiato rispetto al più popolare yaboy - un bel ragazzo, un figo, si dice un thiof, mentre uno sfigato è uno yaboy!


Ecco una piccola guida di Dakar, per toubab in cerca di quiete.
Altre seguiranno..

2 commenti:

Marginalia ha detto...

grazie, appassionante e viene voglia di andarci

cristina sebastiani ha detto...

mi fa piacere!
magari ci andremo insieme ;)