giovedì 24 marzo 2011

ho solo le mani gelate

me ne sono andata.
ibou si attacca ancora al seno e non si accorge di nulla.
niente tensioni, nessun litigio.
nessuno a cui dare la colpa.
ho solo le mani gelate.
ho aspettato che fosse fuori per qualche ora, ho messo due robe in valigia e il pc nella borsa, ho preso l’autobus e ho fatto quattro fermate.
affacciato sugli alberi di via Benedetto Marcello c’è un alberghino anonimo, da viaggiatori di passaggio, con un piccolo giardino interno che ha le sedie di ferro battuto, 27€ a notte, colazione di plastica inclusa.
non so quanto ci resterò o cosa farò, né cosa voglio fare.
se fossi andata più lontano avrei avuto meno soldi per una notte in più.
e poi un po’ mi solletica l’idea di essere appena a cento metri dai suoi ritrovi abituali, esattamente dove non mi cercherà mai.
forse tra qualche giorno tornerò a casa.
mi serve una pausa?
certo non ho fatto nulla di particolarmente originale, i romanzi sono pieni di donne in fuga.
eccomi qua, in fuga anche io, con un neonato e un pc, e finalmente respiro.

ho quarant’anni e non conosco un solo uomo, che consideri davvero normale gestire ogni aspetto del mènage famigliare autonomamente e quotidianamente: se vivono da soli lo fanno malissimo convinti di essere eroici, se vivono in coppia il massimo dell’eroismo consiste nel farsi dare l’elenco delle incombenze da una moglie che non stacca l’attenzione dai mille maledetti particolari nemmeno quando dorme.
ho quarant’anni, e non conosco una sola donna che viva in coppia senza lamentarsi, magari anche solo a tratti, e che non sia tentata, più o meno frequentemente di giustificare questa aberrazione.
questo pensiero mi tormenta, è quasi un’ossessione.
dovevo farlo smettere, mi serviva una pausa.
forse il danno lo fa solo la convivenza, la condivisione di spazi e miserie umane: ho enorme stima nei Maschi, almeno in quelli che se la meritano.
me la perdo del tutto quando mi devo alzare dal letto già semiaddormentata per spegnere le luci e il gas rimasto acceso sotto un tè che bolle all’infinito, che lui si lascia indietro crollando addormentato ancora mezzo vestito chiudendo fuori il mondo di botto e senza preavviso.

non ho niente contro di lui.
è un’ottimo marito, ha buon carattere, molto migliore del mio che sono sempre in guerra con qualcosa o qualcuno, dai cerchi del caffelatte sul piano di cucina alla spazzatura mai ben differenziata, ai libri in disordine nella libreria, ai conoscenti appiccicosi, al capufficiomanomorta, ai dittatori arabi.
a volte al culmine della mia confusione, lo guardo e mi sembra solo una specie di alieno, per certi versi troppo perfetto per essere vero: da quando è arrivato non ho più lavato un piatto, portato un sacchetto pesante, lavato un copripiumino.
se c’è da fare qualcosa basta dirglielo e lui a un certo punto della giornata lo farà, conciliandolo con i suoi innumerevoli attaya sul fornello sempre acceso, le sigarette sul balcone certamente più numerose di qualunque gesto d’affetto mi abbia mai fatto, i suoi giri tra via venini, via vitruvio, piazza lima e viale monza a stringere accordi, siglare business e misteriosi affari con altri senegalesi del mestiere, e il compito, gravoso, di mantenere me senza lavoro e Ibou appena nato.
non si lamenta mai.
al massimo, quando è molto preoccupato, trascorre intere giornate in un silenzio siderale.
se c’è qualcosa da mangiare la mangia, altrimenti passa all’esselunga, si compra le alette di pollo già fritte e va bene così.
quando è di buon umore cucina anche per me, mafe ghinaar, suppakandja, che adoro.
durante i primi mesi di gravidanza mi preparava litri di ginger forte per la nausea e poi mi metteva una mano sulla pancia e mi chiedeva se a lui sarebbe piaciuto, il ginger.
è un buon marito, ha gli occhi buoni e le mani gentili e capisce il mondo molto prima e molto meglio di me.
ma ha un silenzio denso.
per molti mesi si è ritratto dal mondo che condividiamo per fare spazio a me, alla gravidanza, ai miei sbalzi d’umore, alle mie guerre che esplodono come sbuffi di vapore e si abbattono come locomotive su tutto quello che incontrano, si è ritirato in un angolo, in acuta osservazione, pronto a intervenire, pronto a lasciarmi fare.
per molti mesi si è anche preparato a prendere il suo posto, pazientemente, fermo nella sua convinzione di voler vivere fuori dal Senegal e con me, attento alle regole di una società nuova, costruendo, informazione dopo informazione lo scudo che gli permettesse di gestire la quotidianità con pieno controllo, senza opporvisi né pretendere di vivere qui come se fosse lì, come fanno tanti.

io sono una pessima moglie e forse sarò anche una pessima madre, vedremo come crescerà questo flglio.
non trovo un’equilibrio tra me-donna e me-moglie e penso sempre più spesso che costringere due adulti a vivere insieme in virtù di una firma su un foglio sia una delle peggiori crudeltà sociali mai perpetrate: amo mio marito, ma vorrei che vivesse nell’appartamento di fronte.

e vorrei non dovergli chiedere sempre tutto, non dover ammattire per capire cosa gli passa per la testa, vorrei che chiamasse il medico quando sto male come faccio io quando sta male lui, o che si preoccupasse se sono troppo stanca come faccio io quando vedo che lui parte per il suo personalissimo pianeta.
come faccio io.
l’orrida confusione sta tutta in queste tre paroline.

scendo nel giardino, ormai è quasi maggio, fa caldo e in mezzo ai muri di mattoni bianchi e ai palazzi che mi guardano in testa, questa mattina è surreale.
è martedì, la gente normale lavoro o fa qualcosa di utile tutto intorno a me.
sto leggendo un brutto libro, prometteva bene ma non regge le lunghe distanze, o forse sono io che non riesco a fermare l’attenzione sulle parole.
ecco, io sono una pessima Donna, pessima moglie e sarò una pessima madre: non riesco, con tutte le mie forze, a vedere alcuna sacralità nei maschi, non più di quella che vedo in ogni donna.
né li trovo poverini, né meno abili, meno intelligenti, meno capaci di fare tante cose insieme: non c’è alcuna specifica sacralità neppure nell’essere femmina!
me ne sto seduta a guardare l’edera sui muri, penso che vorrei un tè freddo ma non c’è nessuno a cui chiederlo.
sono in guerra con i maschi, e me ne sono andata.
un pensiero confortante.
un pensiero spaventoso.
ibou dorme, chissà cosa pensa.
sicuramente gli mancherà il suo papà.
nessuno sa dove sono, si preoccuperanno.
guardo Ibou e penso che oggi verrà la donna delle pulizie, che ho dimenticato di lasciarle le chiavi in portineria e anche di dire a lui di lasciargliele e quindi lei troverà chiuso e mi dispiace, quasi quasi tornerei indietro solo per lei: una donna deve perdere un pomeriggio di lavoro per i capricci isterici di un’altra donna? forse ci penserò lui, ma sono quasi sicura di no.
ma in fondo cosa voglio??
mio marito non ha idea di dove cercarmi, non ha nemmeno il numero di sua suocera, non me l’ha mai chiesto, forse pensava che in caso di incidente, in coma, l’avrei chiamata io stessa.
quando riapparirò diranno che sono pazza, che sono esaurita, che è la depressione.
ma io sto benissimo.
è questo il problema.
 
forse non riapparirò.
è una grossa tentazione: non credo di sapermi piegare a pagare tutto intero il prezzo di una società che non cresce, non credo davvero di poterlo fare.
fa caldo, un’ape mi gira intorno, guardo mio figlio che dorme, appoggio i piedi sulla sedia di fronte, mi godo il silenzio, la solitudine, il caldo: per ora può bastare.

questa fotografia non riproduce l'albergo citato e l'intera storia è di fantasia

3 commenti:

Anonimo ha detto...

...ho letto questo racconto con le lacrime perchè ho ripercorso la mia esperienza...quando me ne sono andata ancora incinta.Oggi, nello sguardo del mio bimbo rivedo gli occhi del mio amore senegalese...

cristina sebastiani ha detto...

cara anonima, decidere di rompere un legame quando c'è un bambino è una delle esperienze più difficili e dolorose che esistano e sono triste per te e per lui che avete dovuto passarci. mi auguro che oggi la tua vita e quella del tuo bimbo siano migliori, la tua è stata una scelta coraggiosa.
quello con il padre di tuo figlio è un legame che non si spezza mai del tutto, anche nelle situazioni più complicate.
spero che tu possa conservare solo il bene e dimenticare quello che non ha funzionato.
ti abbraccio.

Anonimo ha detto...

Grazie, il tuo abbraccio mi è arrivato.E' stata una scelta molto dura...ho dovuto tirar fuori le cosidette palle...oggi abbiamo trovato il nostro equilibrio.
Una carezza al meraviglioso panciotto!