mi sono persa dentro un desiderio troppo grande.
attraverso la strada e non mi accorgo che il semaforo è rosso.
prima o poi sarà troppo tardi.
mi sono persa.
vorrei stendermi lì, davanti a quella vetrina chiusa che mi guarda ottusa ogni mattina, sul marciapiede umido, chiudere gli occhi e smettere di pensare: questo freddo mi fa venire voglia di lasciarmi andare.
ma che diritto ho, io, di pensare a me stessa?
mussa khan è arrivato in europa dentro il cassone di un camion gelato.
“sopprimiamoli, anche i bambini sono zingari piccoli!”
non c’è calore nè amore nè diritto da nessuna parte.
non posso neanche respirare nei valori che mi hanno cresciuta.
non riesco a smettere di crederci.
i valori servono a dare sostegno, limiti, regole, cose calde e rassicuranti, servono a non impazzire.
fingo che va sempre tutto bene, ma non lo penso, in fondo.
“le donne parlano troppo, togliamole il diritto di parola” pretende arrogantemente sgrammaticato l’amministratore di un gruppo facebook.
mi sono persa dentro un’ingenuità irresponsabile, a quarant’anni.
mi sono persa pensando che un poliziotto non potesse uccidere un negro con un teser
mi sono persa dicendomi che un contadino non avrebbe mai comprato rifiuti tossici dalla mafia inquinando la sua stessa terra e i pensieri
mi sono persa credendo che mio marito fosse mio marito.
condivisione di valori e obiettivi.
imparare insieme a fare il matrimonio.
imparare a farsi scudo contro tutto quello che c’è là fuori.
ma che diritto ho io di pensare a me stessa?
l’Africa ha ostacoli insormontabili, problemi inimmaginabili nella nostra viziata testa bianca - una volta gli uomini consigliavano alle donne di non sforzare quella loro graziosa testolina in problemi più grandi di loro, oggi sono troppo educati per dirlo e usano le differenze culturali - posso solo pazientare, stare zitta, non mostrare, schiena dritta e giocare a penelope - stessa minestra.
nessuno prima mi aveva mai detto “sei malata” come se fosse una colpa.
è questo il matrimonio?
il matrimonio è la colpa?
non basta avere un uomo accanto perchè la vita ti sorrida.
intanto la mia amica rom fuori dal bar muore di freddo e io non so se vuole abiti per coprirsi o per venderli e nemmeno mi importa perchè non ne ho da regalare
io adesso non sono forte.
non sono niente.
grido silenziosamente davanti a un telefono muto, strepito, pretendo, vorrei farmi del male per spostare il dolore dal cuore al sangue.
“la vita con te è un inferno”
la vita con me è un inferno.
ma ci devo vivere io, tu puoi andartene, io no: come si sopravvive all’inferno?
“tu scrivi con l’anima”
forse l’anima può essere utile per sfuggire all’inferno.
mi sono persa dentro un desiderio troppo grande, quello di crescere insieme, e insieme passare da perfettibili a perfetti.
mi sono persa e non so più dove andarmi a cercare.
dignità, mi dice severa un’amica.
dignità.
ha ragione.
quando ne hai ancora, la dignità ti salva, ti tiene dentro gli organi che vorrebbero scappare fuori, lo stomaco che schizza acido, il cervello che scoppia.
grande invenzione, la dignità.
mi sono persa la dignità.
e quando non ne hai più ti stendi lì, davanti a quella vetrina chiusa che ti guarda ottusa ogni mattina, sul marciapiede umido, chiudi gli occhi e smetti di pensare: questo freddo fa venire voglia di lasciarsi andare.
attraverso la strada e non mi accorgo che il semaforo è rosso.
prima o poi sarà troppo tardi.
mi sono persa.
vorrei stendermi lì, davanti a quella vetrina chiusa che mi guarda ottusa ogni mattina, sul marciapiede umido, chiudere gli occhi e smettere di pensare: questo freddo mi fa venire voglia di lasciarmi andare.
ma che diritto ho, io, di pensare a me stessa?
mussa khan è arrivato in europa dentro il cassone di un camion gelato.
“sopprimiamoli, anche i bambini sono zingari piccoli!”
non c’è calore nè amore nè diritto da nessuna parte.
non posso neanche respirare nei valori che mi hanno cresciuta.
non riesco a smettere di crederci.
i valori servono a dare sostegno, limiti, regole, cose calde e rassicuranti, servono a non impazzire.
fingo che va sempre tutto bene, ma non lo penso, in fondo.
“le donne parlano troppo, togliamole il diritto di parola” pretende arrogantemente sgrammaticato l’amministratore di un gruppo facebook.
mi sono persa dentro un’ingenuità irresponsabile, a quarant’anni.
mi sono persa pensando che un poliziotto non potesse uccidere un negro con un teser
mi sono persa dicendomi che un contadino non avrebbe mai comprato rifiuti tossici dalla mafia inquinando la sua stessa terra e i pensieri
mi sono persa credendo che mio marito fosse mio marito.
condivisione di valori e obiettivi.
imparare insieme a fare il matrimonio.
imparare a farsi scudo contro tutto quello che c’è là fuori.
ma che diritto ho io di pensare a me stessa?
l’Africa ha ostacoli insormontabili, problemi inimmaginabili nella nostra viziata testa bianca - una volta gli uomini consigliavano alle donne di non sforzare quella loro graziosa testolina in problemi più grandi di loro, oggi sono troppo educati per dirlo e usano le differenze culturali - posso solo pazientare, stare zitta, non mostrare, schiena dritta e giocare a penelope - stessa minestra.
nessuno prima mi aveva mai detto “sei malata” come se fosse una colpa.
è questo il matrimonio?
il matrimonio è la colpa?
non basta avere un uomo accanto perchè la vita ti sorrida.
intanto la mia amica rom fuori dal bar muore di freddo e io non so se vuole abiti per coprirsi o per venderli e nemmeno mi importa perchè non ne ho da regalare
io adesso non sono forte.
non sono niente.
grido silenziosamente davanti a un telefono muto, strepito, pretendo, vorrei farmi del male per spostare il dolore dal cuore al sangue.
“la vita con te è un inferno”
la vita con me è un inferno.
ma ci devo vivere io, tu puoi andartene, io no: come si sopravvive all’inferno?
“tu scrivi con l’anima”
forse l’anima può essere utile per sfuggire all’inferno.
mi sono persa dentro un desiderio troppo grande, quello di crescere insieme, e insieme passare da perfettibili a perfetti.
mi sono persa e non so più dove andarmi a cercare.
dignità, mi dice severa un’amica.
dignità.
ha ragione.
quando ne hai ancora, la dignità ti salva, ti tiene dentro gli organi che vorrebbero scappare fuori, lo stomaco che schizza acido, il cervello che scoppia.
grande invenzione, la dignità.
mi sono persa la dignità.
e quando non ne hai più ti stendi lì, davanti a quella vetrina chiusa che ti guarda ottusa ogni mattina, sul marciapiede umido, chiudi gli occhi e smetti di pensare: questo freddo fa venire voglia di lasciarsi andare.
[se io fossi un uomo troverei certamente una donna pronta ad aprirmi incondizionatamente la porta, ad ascoltare la mia rabbia contro il mondo, a mettersi in discussione davanti a un ostacolo, ma probabilmente, se fossi un uomo, non me ne accorgerei - nel dolore non ho invidia, nè per gli uomini nè per le donne]
2 commenti:
...sono una donna ed entro io dalla porta che lasci sempre aperta e menomale. mi piace restare tra le tue parole, tra la tua scrittura che impiglia, anche quando sussurra in un sottofondo di malinconia. E' rassicurante sapere che ci sei. Arrivi prima. Lo fai continuamente e forte forte.
claudia solimene.
cara claudia, dopo cinque giorni ancora non ho trovato davvero le parole per dirti quello che ho nel cuore.
un grazie è banale e insufficiente.
scrivimi ancora!
entra dalla porta, è per questo che scrivo e leggo.
ti abbraccio
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