sabato 3 ottobre 2015

lasciate in pace gli africani

Qualche giorno un'amica sul suo profilo Facebook riportava un post che tratta di pregiudizi, migrazioni, sguardi altri. Un post interessante.

Ho molta stima di questa amica e non vorrei mai offenderla nè vorrei offendere il suo contatto, quello da cui ha riportato il post: cercherò di spiegarmi e di far capire perchè a me, invece, questo racconto non è piaciuto.

Intanto ne riporto i tratti più significativi:

Un ragazzo racconta:
Accompagno le bambine a scuola, poi mi allungo dalla pediatra a ritirare un certificato.
Nella sala d'attesa siamo in sette persone[....] Di fronte a me una coppia di colore, entrambi scurissimi, con una bambina minuta che la mamma sta allattando al seno. Sono così belle che sembrano un quadro. Una bambina bionda con le trecce, seduta in fianco a una nonna vestita elegante, li osserva come ipnotizzata. La nonna osserva a sua volta la nipote con un'espressione di allarme. Quando la bambina bionda scende dalla sedia, la nonna ha un sussulto. La bambina bionda va dritta dalla coppia di colore e prima che la nonna riesca a fermarla fa una carezza sulla testa alla bambina piccola. La mamma stacca la bambina piccola dal seno, si sistema, la batte sulla schiena, infine la volta tenendola seduta su una gamba proprio davanti alla bambina bionda, quasi per dargliela. La bambina bionda la fissa.
"Quanti anni hai?", dice la mamma di colore in un italiano incerto.
"Due", dice la bambina bionda, facendo il segno con le dita.
"Ormai tre", la corregge la nonna alle sue spalle.
"Come si chiama?", dice la bambina bionda indicando la bambina piccola.
"Si chiama Anele", dice la mamma.
[...].  La porta della dottoressa si apre.
La nonna si incammina e fa per entrare nello studio.
"Priscilla!", dice quand'è quasi sulla porta, "vieni, dai."
Priscilla non si muove, continua a fissare la bambina piccola.
"Vai che la mamma ti chiama", dice l'uomo di colore.
La nonna dalla porta guarda l'uomo.
"Sono la nonna", dice con una punta di fastidio nella voce.
"Signora, credo volesse farle un complimento", dico io.
L'uomo sorride, la nonna no.
[...]"Non è che volevo fare un complimento", dice, " è che nel mio paese nonna e mamma si dicono nello stesso modo, e anche dopo quasi tre anni mi sbaglio sempre."
"Capisco", dico. "Io lo dicevo solo perché dicendole mamma l'hai fatta sentire più giovane."
"Giovane è un complimento?", dice.
"Di sicuro non lo è vecchio", dico ridendo.
L'uomo mi fissa.
"Da noi i vecchi sono gli adulti più rispettati, i più preziosi", dice. "Per questo durante la guerra li uccidono per primi."
Mi sento spiazzato, come se qualcuno avesse improvvisamente girato la mia testa in un'altra direzione.
"Ma se i vecchi sono più preziosi", dico, "allora perché mamma e nonna si dicono allo stesso modo?"
Mi guarda con uno sguardo paterno, lo so perché li conosco bene.
"Perché mamme e nonne hanno dato la vita", dice indicando prima sua moglie e poi sua figlia.
Penso che mi sembra un concetto così elementare da essere meraviglioso. Guardo quest'uomo scuro come la notte, la sua compostezza, lo ascolto parlare con misura ed educazione, non una parola fuori posto. Penso anche che lui è lì con la sua famiglia, li ha accompagnati. Mentre io, per esempio, sono dal pediatra da solo, e la bambina bionda, per esempio, è venuta con la nonna.
Lo guardo e non conosco la sua storia, ignoro se sia arrivato qui su un barcone o su un jet privato, se sia un lavapiatti o se sia laureato a Oxford. Ma non posso fare a meno di pensare al pregiudizio nello sguardo della nonna di Priscilla, ai soliti discorsi sull'"invasione", a quelli che senza farsi alcuna domanda mai, vorrebbero "aiutarli tutti a casa loro".
E mi viene da pensare, invece, a quanto avremmo tanto bisogno di persone come quest'uomo. Per guardare in altre direzioni. Per riscoprire i fondamentali.
Per aiutarci un poco a casa nostra.


Innanzi tutto una cosa importante: sono perfettamente consapevole della buona fede di chi ha scritto e sono del tutto d'accordo con il fatto che la semplicità e l'empatia verso il nostro prossimo, qualunque sia la sua storia, possa essere un grande passo avanti per l'Umanità.

E che siamo nella necessità assoluta che qualcuno ci aiuti a casa nostra.
Concordo.

Ma inconsapevolmente questo racconto non aiuta a smontare il pregiudizio, purtroppo sta su un piano che gli si avvicina molto.
Mi spiego.


Innanzi tutto mamma e figlia non sono di colore, ma nere - non c'è nulla di vergognoso nell'usare la parola nero, mentre usare un eufemismo (di colore..di quale colore..?) fa pensare che invece chi parla sia un po' in imbarazzo.

Stamattina una mamma del mio asilo mi chiedeva di un'altra mamma, incontrata in mia compagnia: massì dai lei ha gli occhiali, una figlia piccola io non capivo, non ti ricordi come si chiama? nemmeno la piccola? e com'è la piccola? alla fine mi viene in mente che con gli occhiali c'è solo Simona e le dico ma sì! la mamma della bimba nera! sì sì proprio lei. Ecco, facevamo prima se me lo diceva così, visto che Sofia è nera ed era, quel giorno, l'unica piccola femmina nera e che non è vergognoso dire nera per identificarla quanto non lo è dire bionda di un'altra bambina.

Proseguiamo con il post di Facebook: mamma e figlia nere sono tanto belle da sembrare un quadro.
Certamente.
Ma non sono belle perchè nere (che però è l'unico elemento che conosciamo del loro aspetto), forse sono belle perchè dolci, forse sono belle perchè entrambe hanno tratti somatici belli.
Altrimenti non sono nè più nè meno belle di una coppia mamma/figlia bianche.
Voglio dire, non tutti i neri sono belli per forza.

Se vogliamo davvero far sì che il colore della pelle non sia un fattore di discriminazione, dobbiamo cercare di smetterla anche di idolatrare ogni persona nera che incontriamo, in una specie di rivalsa che ci fa apparire più progressisti.
Ci sono bambini misti, come il mio, o bambini neri che sono brutti, bruttini, bruttarelli, bruttissimi, esattamente come ci sono bambini bruttissimi bianchi (e non mi dite che tutti i bambini sono belli perchè urlo!)
E ogni mamma che allatta è bella, o meglio è una mamma, bella esattamente quanto una che non allatta.

Poi: in Africa (quale Africa, in quale lingua? wolof del Senegal e shwaili del Kenya sono due lingue del tutto diverse tanto per dirne due a caso)  mamma e nonna si dicono allo stesso modo perchè queste donne hanno dato la vita: abbiamo davvero bisogno di un africano per ricordarcelo?
Mio nonno mi diceva le stesse cose ed era bresciano e anche un po' gnucco, nè stupendamente dignitoso nè esotico, solo un nonno un po' curvo.
Oppure serve un africano perchè, ancora una volta, se lo dice lui fa progressista, fa compostezza e dignità.
Proviamo a raccontare la stessa cosa di un vecchietto rugoso con il pesante accento delle valli...mi sa che fa un po' appiccicaticcio, un po' troppo retrò, mi si stringe subito la gola, mi sento risucchiata nei pippotti famigliari sul rispetto per gli anziani e via discorrendo.

Apprezzo, moltissimo, il tentativo di questo ragazzo, di proporre un altro punto di vista sulla questione immigrazione.
Lo apprezzo molto e non sono per nulla ironica nel dirlo.

Purtroppo però, l'africano angelicato, esattamente come l'africano demonizzato, non porta nulla di buono, nè a lui nè a noi.
Nè a casa nostra nè a casa loro.

In fondo in fondo (e mi dispiace davvero dirlo), il buon Matteo ha avuto lo stesso sguardo pregiudiziale della nonna di Priscilla, ancorchè in assoluta buona fede.
Spero che non me ne vorrà per questo commento.

Quando ignorare un africano che ci siede accanto o guardare con amore una bella mamma africana con gli stessi occhi con cui guardiamo una mamma italiana o ignoriamo un signore bianco che ci siede accanto, quando questo sarà nel nostro quotidiano, lasceremo in pace loro e noi stessi, e saremo finalmente liberi dai pregiudizi.
E forse allora sì che ci saremo tutti aiutati a casa nostra, che è sicuramente (concordo), la cosa più importante da fare!

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