Un ragazzo guineiano, rifugiato, è stato vittima di razzismo: educatore
volontario presso la Cooperativa il Melograno di Peschiera Borromeo, suscita l'ira di alcune madri
con la sua presenza al campo estivo dei figli. E scoppia il caso.
Il problema sta nell'essere un educatore non
specializzato: l'essere nero, rifugiato perdipiù, non c'entra nulla, dicono.
Ovviamente, non è così.
Chissà se queste madri si sono assicurate che anche
tutti gli altri educatori fossero conosciuti da diversi anni (una delle
critiche è che fosse "un estraneo") e che avessero un titolo
professionale (un'altra è di essere "non specializzato).
Ancora peggio fa la Cooperativa, che assicura ai genitori che il
poveretto viene utilizzato solo con compiti di sorveglianza e non accompagna i
bambini in piscina o in gita - come se essere nero e rifugiato significasse
automaticamente essere un molestatore e dunque ci si affretta a tranquillizzare
i genitori: i contatti sono ridotti al minimo!
Non c'è una legge che punisca quelle madri razziste.
Eppure chiunque sia nero, abbia una figlia o un
figlio, una compagna o un compagno,
un'amica o un amico neri, sa benissimo che tipo di violenza è questa e quali
profonde cicatrici lasci nelle persone che la subiscono.
C'è troppa leggerezza nell'affrontare questo
argomento.
Ho partecipato di sfuggita ai commenti sulla bacheca di Facebook di un avvocato milanese, mi sono sentita dare dell'esagerata, della questurina,
dello sbirro - quelle madri hanno diritto di insultare che vogliono, con il
loro gesto: rientra nelle prerogative genitoriali.
Cosa che non mi trova affatto d'accordo.
Ovviamente non penso si debba obbligare qualcuno a
frequentare qualcun altro, chiunque esso sia.
Ma non può essere normale ferire le persone, in modo
violento e traumatico, sulla base del colore della pelle e della provenienza, e
farla passare per libertà educativa: se educhi tuo figlio al razzismo non vai
molto lontano dall'apologia di nazifascismo, si tratta solo di sfumature.
Purtroppo o per fortuna, una di queste sfumature
riguarda le scelte personali e la privacy delle famiglie quindi amen - queste
persone non possono essere denunciate.
Ma dovrebbero scusarsi pubblicamente, far tornare
privata una scelta che ha causato un danno pubblico a una persona a motivo del
colore della sua pelle e della sua provenienza.
In molti, anche persone fino a pochissimi istanti
prima intelligenti, si chiedono se non sia davvero meglio mandare via tutti,
risolvere il problema (i problemi: difficoltà di inclusione sociale e di
convivenza pacifica, impossibilità di dialogo con i razzisti veri,
discriminazioni, povertà, traumi e problemi psichici di cui i migranti soffrono
fin troppo spesso, classi scolastiche rallentate dalla presenza di bambini
migranti, lavoro depauperato dalla presenza di lavoratori disperati che
accettano il nero e nessuna tutela, islam e moschee - e sto solo elencando a
casaccio quello che di più spinoso comporta la presenza migrante), il problema,
dicevo, risolverlo alla radice.
Tanti meno patemi, tanti meno problemi, tanti meno
costi sociali.
In molti si chiedono se mescolare culture sia
davvero possibile.
Se i matrimoni e le unioni miste abbiano un senso.
Se le adozioni internazionali e quelle interazziali,
abbiano un senso.
Rimandiamoli tutti a casa, o almeno a casa di
qualcun altro se proprio non possono stare nella loro: sarebbe tutto più
facile.
Siamo stanchi di combattere.
In nome di cosa, poi?
In nome del fatto che se io ho avuto la botta di
culo di nascere europea, e bianca e benestante, non sono per questo più figa né ho
dunque maggiori diritti di chi nasce nero, guineiano e povero.
Una parte di quello che ho la devo redistribuire, e
non per bontà d'animo, ma sapendo che in cambio me ne vengono, per esempio,
lavoratori disponibili a svolgere mansioni necessarie come la colf, la badante,
il portiere di notte, il lavapiatti.
Cosa che io, se posso evitare di fare, eviterei.
E me ne vengono i soldi che utilizzerò io, per la
mia pensione, quando sarà il momento.
E me ne viene ricchezza fatta di energie, teste e
idee nate altrove e trapiantate qui: invidiamo gli americani per tutti i nostri
connazionali che lì hanno trovato miglior fortuna, e allora invidiamo anche noi
stessi per i medici, gli avvocati, i giornalisti asiatici, africani,
sudamericani che qui stanno meglio che a casa loro - sono energie che a noi
mancano!
Niente è gratis, neppure il rispetto della dignità
umana: guardiamo al tornaconto, immaginiamoci senza.
E poi, una volta che abbiamo sdoganato il
tornaconto, svegliamoci finalmente una mattina e cerchiamo di capire che
rispettare sé stessi passa dal rispetto per gli altri: non parliamo di noi come
di persone, se non sappiamo rispettare fino in fondo e con emozione, dolore,
fatica, amore e saggezza, gli altri.
Questi movimenti di persone sono dettati dalla
storia, davvero pensiamo di poterli fermare mettendo i nostri figli in un
ghetto senza educatori guineiani?
L'inclusione è faticosa.
Ma l'esclusione lo è ancora di più.
Solo due giorni fa una strage, l'ultima strage, di
un escluso vittima di bullismo e forse anche di razzismo. A Monaco, in Germania.
Un anno fa, una strage enorme, di un folle che
desiderava escludere molte più persone. A Utoya, in Norvegia.
In mezzo un casino indescrivibile.
Sarà meglio decidere, se preferiamo vivere nella
paura o iniziare a rimboccarci le maniche per fare la stramaledetta fatica di
comunicare, imparare, insegnare, trovare soluzioni e strade per convivere senza
ferirci a vicenda.
Sarà meglio che decidiamo se vogliamo essere persone
o subumani.
Subito.
ph. credits CorrettaInformazione |
2 commenti:
Mai mischiare i bianchi con i colorati...
oltre che anonimo questo commento è del tutto privo di una qualunque sostanza: che significa?
caro anonimo (o cara anonima), se vuoi parlarne, argomentare, discutere, io sono qui, molto volentieri.
Altrimenti posso dirti solo che paragonare le persone alle stoffe in lavatrice mi sembra esattamente quell'atteggiamento subumano che trovo più che detestabile e che combatto.
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